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Laicita'..
Di Franz (del 02/12/2005 @ 17:05:29, in 05-06 Pr.Leo. Dublino, linkato 1479 volte)
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Anni fa, a proposito del giusnaturalismo e delle sue moderne implicazioni, avevi scritto: "Per laicismo s'intende il movimento di liberazione dai dogmi religiosi, dalle dottrine fondate sopra la rivelazione, non comprovate dall'esperienza né dedotte dalla ragione; e parallelamente il movimento di svincolamento dell'azione umana dall'obbedienza all'autorità religiosa in ciò che riguarda gli affari mondani". Ferma restando la rilevante portata storica e ideale di tale termine di riferimento, oggi in misura crescente sono discussi e non di rado differenziati i due concetti di laicismo e di laicità: il primo, interpretato talora in chiave "ideologica", come sinonimo di intransigenza anticlericale se non di intolleranza nei confronti delle fedi e delle istituzioni religiose, o come reviviscenza in campo giuridico-politico di classiche istanze giurisdizionalistiche; il secondo, fatto oggetto di più varie e sfumate valutazioni, fino a tentativi più o meno strumentali di appropriazione da parte di settori anche autorevoli della stessa cultura ufficiale cattolica. Qual è, in relazione pure alla citazione sopra riportata, il tuo giudizio sui due concetti, sulla loro valenza attuale, sulle ragioni o meno della loro eventuale distinzione?

Ritengo sia da mantenere la distinzione fra i due termini "laicismo" e "laicità". Il primo viene di solito usato con una connotazione negativa, per non dire addirittura spregiativa, per designare, come tu osservi giustamente, un atteggiamento d'intransigenza e d'intolleranza verso le fedi e le istituzioni religiose. Ma questo è proprio il contrario dello spirito laico, o, se si vuole, della "laicità" correttamente intesa, la cui caratteristica fondamentale è la tolleranza. Intendo parlare della tolleranza in senso positivo.

Uno spirito fortemente religioso può anche essere tollerante ma generalmente è tale in senso negativo, intesa la tolleranza unicamente come sopportazione dell'errore altrui per ragioni di convenienza, per opportunità pratica, come minor male rispetto alla persecuzione violenta. Per tolleranza in senso positivo s'intende il riconoscimento del diverso per rispetto di ogni fede quando sia sinceramente professata e osservata. La tolleranza positiva non è pura e semplice astensione dalla persecuzione ma è un atteggiamento fondato sulla convinzione che la pluralità delle credenze e delle opinioni, sia religiose sia politiche, in pacifica concorrenza fra loro, è una condizione essenziale per la sopravvivenza e il regolare sviluppo di una società democratica, vale a dire di una società i cui valori fondamentali, garantiti dalla osservanza di regole primarie, sono la libertà, l'eguaglianza e la nonviolenza.

Siccome il principio della tolleranza positiva è accolto anche dalle Chiese cristiane, che originariamente avevano accolto la tolleranza soltanto nel suo senso negativo, ritengo si possa affermare che lo spirito laico, conseguenza del processo graduale di secolarizzazione che ha caratterizzato la storia dell'età moderna, e che mi pare irreversibile, ha avuto una importanza decisiva nel dar vita alle società civilmente più progredite nel mondo contemporaneo. Queste società sono insieme democratiche - se pure in modo imperfetto e in alcune più imperfetto che in altre - ove vengono riconosciuti e protetti alcuni diritti fondamentali di libertà, tra i quali la libertà religiosa non meno che la libertà di non avere alcuna religione, e laiche, nel senso di non confessionali, in quanto non impongono una religione di Stato, e neppure, come è avvenuto nei paesi dove il partito comunista è andato al potere, un ateismo di Stato. Lo Stato laico, in quanto non confessionale, non è né religioso né ateo, né cristiano né non cristiano.

È uno Stato in cui dalle norme fondamentali del paese vengono garantite le condizioni essenziali per la convivenza pacifica di credenti e non credenti. Aggiungo, anche se dovrebbe essere ovvio, che uno Stato democratico non può essere che laico, non solo nel senso che uno dei diritti fondamentali riconosciuti e protetti dallo Stato democratico è il diritto di avere una religione o di non averne nessuna, ma anche perché è principio fondamentale dello Stato democratico, del resto riconosciuto da un articolo della nostra Costituzione, quello secondo cui l'appartenenza a una religione piuttosto che ad un'altra non può diventare un criterio di discriminazione fra cittadini.

Anche di recente, al Convegno di "Carta `89" (Roma, marzo 1991), è apparsa di grande stimolo e impegno la nozione di laicità, la cui definizione è stata pure circostanziatamente discussa tanto in rapporto alla "critica dell'alienazione religiosa" o alla critica della sacralizzazione del mondo (o del potere, o dell'uomo) quanto in vista del pieno ricupero di valori umani "positivi" o addirittura "prometeici". Ritieni possibile e utile, nell'odierna prospettiva, una definizione (o per lo meno un tentativo) abbastanza pregnante e "universale" della laicità? E, in caso affermativo, ne individueresti tra i caratteri salienti quello di "valore" o quello di semplice atteggiamento pratico o di metodo comportamentale aperto alla tolleranza e variamente motivabile in sede teoretica e morale?

Una volta definita la laicità prima di tutto come un metodo, ovvero come un insieme di regole formali per la pacifica convivenza di persone appartenenti a fedi diverse, e quindi come un metodo di libertà e di eguaglianza (libertà di credere e uguaglianza di fronte alla legge), si ripropone sempre anche la domanda se vi siano valori tipicamente laici, ovvero se si possa parlare di un'etica laica distinta da un'etica religiosa, o, con particolare riguardo alla religione dominante in Italia, cristiana. Che si possa parlare di un'etica laica, io ho sempre avuto i miei dubbi. Anzitutto perché vi sono diverse etiche laiche, come del resto vi sono diverse etiche religiose. Basti pensare alla distinzione tra etica della convinzione; o dei principi, ed etica della responsabilità, o delle conseguenze: distinzione che è stata applicata più volte nelle discussioni sulla liceità o meno della guerra del Golfo. In secondo luogo, se i laici e i religiosi possono vivere insieme nella stessa società pluralistica (e le società democratiche sono di fatto tutte pluralistiche), dipende dal fatto che gli uni e gli altri riconoscono gli stessi principi fondamentali, come il "non uccidere", il "non mentire", il "rispettare la parola data", che costituiscono un codice minimo di regole universali. Ciò che distingue un'etica laica da un'etica religiosa è principalmente il fondamento che le une e le altre danno ai precetti da seguire, in altre parole quale sia la ragione per cui si debbano osservare certi precetti e tenere di conseguenza certi comportamenti. Per il credente i precetti che è tenuto a seguire sono comandamenti divini, per il non credente sono dettami della retta ragione oppure desunti dall'esperienza.

Si tende a dire che un'etica religiosa è più rigoristica e una laica più permissiva. O almeno questa è una differenza che viene messa in particolare rilievo dai seguaci di Chiese stabilite. In realtà una differenza tra rigoristi e lassisti esiste anche nell'ambito della morale cattolica. Così avviene nell'ambito delle etiche laiche: l'etica kantiana è un'etica rigoristica rispetto all'etica utilitaristica. E poi, se è vero che nelle cose del sesso sono certamente più rigoristi i cattolici, nella vita civile, nella lotta contro il tiranno, i cattolici nel nostro paese sono stati più accomodanti di molti laici (in quella che è stata chiamata la "religione della libertà", e non a caso). Se è vero che il vizio di un lassismo senza principi può essere il cinismo, è altrettanto vero che il vizio del rigorismo condotto alle estreme conseguenze è il fanatismo. Chi oggi accusa le società secolarizzate di eccessivo permissivismo non ha tutti i torti, ma non ha tutti i torti il laico che accusa le società dominate da un forte spirito religioso di fanatismo. Chi vorrebbe tornare a vivere in una società, come è spesso quella di Stati islamici, in cui non vi è distinzione fra il fedele della religione e il cittadino dello Stato, e la lealtà alla religione imposta è condizione per essere un cittadino a pieno titolo?

Più che di un'etica laica si può parlare a mio parere di una visione laica della vita e della storia, distinta da una visione religiosa. Filosoficamente si suole chiamare la prima immanentistica, la seconda trascendente. Si può anche parlare, con un linguaggio più familiare, della differenza tra una concezione sacra o sacrale e una concezione profana o sconsacrata o, come si preferisce dire oggi, desacralizzata, della vita e della storia. Per meglio dire, secondo il cristiano accanto alla storia profana c'è una storia sacra, di cui l'unica guida sicura è la Chiesa. Per il laico la storia è una sola ed è la storia in cui siamo immersi, coi nostri dubbi non risolti, colle nostre domande inappagate, la cui guida è soltanto la non infallibile nostra ragione fondata sull'esperienza. È questa una storia che non rimanda ad altro, dietro la quale e sopra la quale non c'è altro mondo, di cui questo nostro mondo sia soltanto una prefigurazione imperfetta, uno specchio infedele o addirittura ingannevole, un riflesso accidentale. Ciò che muta nella visione del religioso e in quella del laico è il senso da dare alla storia. Nella visione del laico manca la dimensione della speranza ultima, ovvero della speranza in un riscatto, in una redenzione, in una palingenesi, nella salvezza. E non ci può essere salvezza se non c'è stata neppure la colpa originaria, da cui tutta l'umanità sarebbe stata sin dall'origine e nei secoli dei secoli segnata. La storia per il laico non si svolge tra una colpa originaria e una redenzione finale. È una storia di eventi di cui è possibile, ma non sempre, cercare non le colpe ma le cause, perché soltanto dopo aver trovato le cause si possono cercare i rimedi. È una storia di cui è inutile cercare un senso ultimo, perché un senso ultimo non c'è. Qual è, per fare l'esempio di un evento che sta accadendo mentre scrivo queste pagine, il senso dello spaventoso ciclone che ha sconvolto una regione come il Bangladesh e fatto strage di migliaia e migliaia di uomini? So bene che porre una domanda di questo genere può anche creare sgomento. E può anche essere oggetto di facili accuse da parte di un credente per cui "non muove foglia che Dio non voglia" e tutto ha un senso, anche la strage d'innocenti provocata da un terremoto o da una pestilenza. Ma il laico non può rinunciare allo spirito critico, che è il segno della sua perplessa e tormentata umanità. E per uno spirito critico non ha alcun senso, mi si permetta il bisticcio, porsi il problema del senso di un evento come un cataclisma - imprevedibile, imprevisto, e terribile non soltanto nelle sue conseguenze ma anche nella sua incomprensibilità - dal punto di vista di una storia che si proponga di capire non soltanto la causa ma anche la ragione di tutto ciò che accade.

Con richiamo a quanto sopra, e più specificamente alle vicende italiane dall'unità ad oggi (per non risalire a radici anche più arretrate nel tempo!), ritieni conciliabile l'asserita laicità dello Stato e della scuola pubblica con la permanenza del nostro o di qualunque regime concordatario?

Uno Stato laico dovrebbe rifiutare il regime concordatario. Tra Stato laico e regime concordatario c'è incompatibilità dal punto di vista dei principi. Non c'è incompatibilità nella pratica, dove i principi sono spesso accantonati per dar luogo a situazioni di compromesso in determinati contesti storici, dove l'applicazione del principio è resa difficile, come avviene in Italia, dalla presenza di un partito cattolico che ha da quasi mezzo secolo la maggioranza relativa e ha guidato quasi tutti i governi che si sono succeduti dalla Liberazione in poi. Oggi come oggi, una battaglia per l'abolizione del Concordato è una battaglia perduta in partenza. Ne è la miglior prova l'enorme difficoltà che si è rivelata in Italia di far applicare correttamente le clausole del Concordato riguardanti l'insegnamento religioso, difficoltà derivante proprio dalla presenza di un forte e sino ad ora egemone partito democristiano.

Norberto Bobbio, Intervista del giugno 1991, in Av. Vv., Laicità. Domande e risposte in 38 interviste, a cura del Comitato torinese per la laicità della scuola, Claudiana, Torino 2003, pp. 53-58.

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